mercoledì 23 maggio 2012

La mia recensione di "The Raven" (2012) per Horror.it


pubblicata su Horror.it:










The Raven (2012)


“Il 7 Ottobre 1849 Edgar Allan Poe fu trovato in fin di vita su una panchina di un parco a Baltimora, Maryland. I suoi ultimi giorni restano un mistero”


Così, senza troppa fantasia, si apre “The Raven”, film del 2012, diretto da quel James McTeigue che , sette anni orsono, ci aveva regalato “V per Vendetta”, controverso gioiellino filmico a cavallo tra box office, retorica e talento puro.
“The Raven” parte dall’ intenzione di essere omaggio al grande Edgar Allan, costruendo una fantasiosa ipotesi sulle cause della sua morte, che restano, a tutt’ oggi, sconosciute. Il prodotto finale non può considerarsi riuscito: nonostante alcuni buoni momenti,  la fotografia impeccabile (a opera di Danny Ruhlmann), l’ ambientazione che non fa una grinza e una regia abile sebbene a tratti molto autocompiaciuta, il plot è un volo pindarico troppo sfilacciato per poter risultare credibile.

A Baltimora, un killer commette i suoi delitti a imitazione di quelli delle tales di Poe e sfida apertamente lo scrittore non solo a dargli la caccia, ma a comunicare con lui tramite dei racconti che pubblicherà sul “Patriot”, il giornale per il quale il genio del terrore, in piena crisi creativa e dedito all’ alcool, è ridotto a redigere recensioni. La posta in gioco è molto alta: il folle tiene in ostaggio Emily Hamilton (l’ incantevole Alice Eve), la donna che Edgar ama, ricambiato e, com’è ovvio che sia, la ucciderà se lo scrittore non si dimostrerà sufficientemente abile nel ritrovarla.
Dunque, un copycat dei delitti creati dalla mente di Poe, che per di più, lo sfida: una sorta di “CSI” in epoca ottocentesca, con assurdi accenni di torture porn stile “Saw” in un guazzabuglio che lascia francamente perplessi. 

La tematica del serial killer d’ epoca è ormai troppo sfruttata, il film vorrebbe rimandare a punte altissime come “From Hell” ma non ne possiede un decimo della forza; l’ insieme, è troppo addomesticato e manca della giusta ferocia, fatta eccezione per alcuni passaggi efficaci. John Cusack, al quale è affidato il non facile ruolo di Poe, risulta fuori parte, nel passare dal monocorde al sopra le righe nel giro di pochi minuti, e non possiede la giusta espressività. Fece assai meglio, seppur solo come sporadica presenza, il Ben Chaplin / spettro di Poe nel pessimo “Twixt” di Francis Ford Coppola, prestando al personaggio un volto e un’ attorialità assai più adatti.

Lo scrittore di Boston è qui ritratto al culmine della crisi: la raffigurazione che ne risulta è contaminata da troppi stereotipi, l’ intenzionale omaggio non è sufficientemente sincero e appassionato bensì riflette la luce ipocrita della solita operazione da botteghino. Non basta infarcire il film di citazioni dai suoi racconti per riuscire a spacciarlo come un accorato homage : l’ impressione che ne deriva è quella di un “Poe for dummies”, una ricostruzione di fantasia impacchettata in modo attraente ma del tutto priva d’ anima.  
Poe collabora con la polizia, in special modo con l’ ispettore Fields (Luke Evans): la caccia al killer non riesce ad avvincere, in una narrazione standardizzata, priva di forti scossoni. Tutti i personaggi sono poco più che abbozzati: il padre di Emily, il ricco Capitano Hamilton (il buon Brendan Gleeson),  il quale dapprima osteggia a più non posso la relazione, per poi diventare improvvisamente solidale con Poe durante le ricerche della figlia, così, di punto in bianco; inoltre, il personaggio di Fields è troppo a tutto tondo, sebbene presentasse spunti che potevano essere sfruttati in modo migliore.

Il rapporto a dir poco conflittuale tra Edgar Allan e il caporedattore Maddux (Kevin McNally, noto per la serie di film “Pirati Dei Caraibi”), è reso come una serie di bisticci da osteria e poco altro. Il modo in cui “gli altri” vedono Poe e si relazionano a lui è rappresentato al massimo livello di superficialità, senza la minima intenzione di approfondimento: per un film che vuole dare una personale visione degli ultimi giorni di vita di un personaggio come questo, è una pecca non trascurabile.

Inguardabili i titoli di coda, sulle note della pur bellissima “Burn My Shadow” di U.N.K.L.E (con la voce di Ian Atsbury dei The Cult), che però nel contesto stride come le unghie sulla lavagna, e ancor di più la grafica iperdigitalizzata da film di supereroi Marvel.
Credits agghiaccianti a parte, il segmento finale, per quanto non eccelso, resta forse il momento migliore della pellicola, con due o tre sequenze degne di nota. Per il resto, tra “Il Pozzo e Il Pendolo”, molto “Premature Burial” ma soprattutto una raffigurazione dello scrittore degna di un bignami di terza mano, non c’è molto da salvare.

Chiara Pani
(araknex@email.it)

The Raven
Usa/Ungheria/Spagna - 2012
Regia: James McTeigue





Exclusive Interview with Roger Corman for Horror.it


published on Horror.it:

http://www.horror.it/a/2012/05/roger-corman-exclusive-interview/


 
Roger Corman, that is the King of low-budget. A real icon, for all the movie lovers, the man who launched stars such as Jack Nicholson and directors like Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante, James Cameron, all of them coming from his factory. His Edgar Allan Poe adaptations are unforgettable, as well as Vincent Price, who was the unquestioned spotlight chaser in those flicks.  But Corman made a lot more things besides all that: in his very long career, he did not only direct an impressive number of movies but he still is a very prolific producer.
His most interesting titles are also the less known: The Trip, The Wild AngelsGas-s-s-s, a lot of non-horror movies which explore widest territories. Us, of Horror.it crew we had the pleasure and honour to interview him during his recent trip to Turin, for the retrospective “Senza Un Attimo di Tregua” ( literally: "Without A Moment Of  Rest") , which the Cinema MuseumMuseo Del Cinema (which we thank for the precious collaboration, in particular Veronica Geraci) dedicated to him. The interview' s questions are written by Andrea Lanza, in collaboration with Chiara Pani and Corrado Artale. The interview was made by Chiara Pani.



INTERVIEW WITH ROGER CORMAN




We all know the part of your work which is related to gothic and horror, as the renowned series of adaptations of Poe, but we are always happy to remember the more realistic side of your filmaking, we can even say “pulp” in some movies. We think about “The Wild Angels” with Peter Fonda before Easy Rider or the war movie “The Secret Invasion”, without forgetting that visionary and peculiar flick which was “The Trip”. Which is the cinematographic dimension you feel more comfortable with, the one where you feel more creatively free, among all the ones you crossed?

I love the process of filmmaking, and I like to work in as many media styles as possible, so I’ve done realistic, contemporary pictures such like “The Intruder” which is about racial integration in the South and then, during the 60s I was part of the counterculture and I did “The Wild Angels” and ”The Trip” then, at the same time, I liked horror films also I’ve done science fiction as well so I’m very in between all of these and I’ ve come back to horror and science fiction after all the others.

In 1990 you shot a very interesting title, “Frankenstein Unbound”, which came after a long break from movie direction and which was partially shot in Italy. Would you like to tell us about this particular location choice and the project in general?

The picture was shot entirely in Italy, I was shooting near Lago di Como and the interiors in Milan. Actually, it was a picture I didn’t particularly want to do; Universal had done some sort of audience survey and came up with this worthy idea that a picture called “Roger Corman’ s Frankenstein” would have been successful and they asked me if I would do it and I said “No, there have been so many Frankenstein pictures that this would be just another Frankenstein picture”. Every six months or so they would call me and they offered more money. Finally the offer was so high that I said  “I can try an original way to do a Frankenstein picture, I would do it”, and “Frankenstein Unbound” is a novel by an English writer (Brian Aldiss, the novel was issued in 1973) that I thought was original so I chose that.

In 1970 you produced “The Dunwich Horror”, a Lovecraft adaptation just like “Tha Haunted Palace” which you otherwise directed. Tell us about your personal approach to Lovecraft, who is usually quite hard to handle in movies, and which were the main differences compared to adapting Edgar Allan Poe.

I like the world of Lovecraft, I like the world of Poe, for me, I’m more comfortable with the world of Poe because the characters are a little bit more complex than Lovecraft, and I can work on both levels of conscious and unconscious mind. Considering the Poe attitude in the artistic work of Poe, I’ d always start with Poe. I liked Lovecraft, because he was not quite  as direct as Poe but he was very good as a script reference.

That is curious, it’s good to hear that because a lot of directors find difficult to work with Lovecraft

Lovecraft was more pop-commercial in 1920s, and sometimes is a little difficult to work with his characters and his plots because they are not so complex, everybody likes to work with a more complicated concept.

Your production career is extremely various and crossed the most diffent genres, from “women in prison” to giant monsters: tell us about the differences between Roger Corman as a producer and as a director, if there are any.

There are more similarities than differences, because to me the most important aspect, the most important element in a film is the original idea. So when I work as a producer or when I work as a director, in each case it starts with the original idea of mine, an idea that I have or it might be a short story that I like and I buy that, I then work with the writer on developments, and then I bring in the director on the final draft of the screenplay because I keep the franchise work with the writer on the final draft. Then the difference is I start turning away and  as a producer I prefer not to be on the set during shooting, I’ d be on the set the first day to say “Hello” to everybody  and if everything goes well the first day, I never come back. I feel the path point which the director and the production manager should take.

Why this choice of going only the first day of shooting?

The first picture I produced and didn’t direct, the crew was coming to me with their questions and I said “you should not be coming to me you should be coming to the director”  and they were so used to come to me that I really felt I should leave the set, as if they kept coming to me I should have tell them “no, not here, I’m not the director”  because the director was the person they should have gone to.

Now a question we really like: among all your works, there is one we personally consider one of the most powerful and gloomy adaptations from Shakespeare, Tower Of London (one of our personal faves) , shot in the 60s, which makes it a courageous and strong project. Would you like to tell us about this movie, with the particular choice of black and white, after having shot in colour, and if you consider it part of your gothic cycle or something aside from it?

I think that is on the outskirts on the Poe cycle, it has a resemblance to the Poe’s pictures  but is not within them exactly. The reason why it was done in black and white was I had done the colour pictures for American International (*AIP), Tower Of London was done for United Artists, they wanted black and white because they used it in low-budget films and that’s one of the reasons why I prefer to work on low-budget  pictures that I finance myself and what to run is my decision.

Now a very usual question: tell us something about you Poe adaptations and, in particular, about your work with Richard Matheson.

The Poe adaptations were really based upon his fears. Poe worked both on the conscious mind and the unconscious mind; I think this concept came into the surface in the 19th century, a ten years later, settling Poe at the same concept to psychiatry and that’s really well worth in every way to Poe. Dick Matheson, I hired him simply because of his very good writings, he wrote most of the Poe pictures and I think he did a wonderful job. In the genre, I think he’s one of the best, different and deepest writers.

In fact he adapted some of the Poe tales also in weird way somehow, also reinventing them,  making “melting-pots” as in “Tomb Of Ligeia”, assembling different Poe tales.

Yes. One of the problems in working with the Poe tales is that they’ re very short.  The short story “The Pit and The Pendulum”  is only a few papers long; the entire story is in the room with the pit and the pendulum and what we had to do was to create what to place before that so that we integrate with an end-up in the pit and the pendulum.

We can notice a strong irony in your Poe adaptations, compared to the writer’s tone which was more serious. Both you and Matheson had this gift of adding this touch of irony, tell us something about it if you like.

The irony was this: that once I had done the first few Poe films, I felt that I had to change a little bit because I was starting to repeat myself, I didn’t want the pictures to all look the same. So, they became a little bit ironic, and the we have  have “The Raven”, which actually is a fairly funny picture (“oh oh oh” and laughs)  and “The Tomb Of Ligeia”  became a love story and an horror film. So I used this as a way to vary the Poe stories.

In the 60s, so at the same time of your gothic movies, in Italy Mario Bava was shooting “Black Sunday” with one of “your” actresses, Barbara Steele. What do you think of the italian low budget horror directors of that era, like Bava and Margheriti or also Fulci, who claimed to use “The Corman Formula” as his method of work?

I know Mario Bava’s works the best of the three. I think he should be remembered more, I think he did brilliant works. “Black Sunday”, in particular, was the first one I saw and frankly, I hired Barbara Steele because I thought she was so good in “Black Sunday”.

Tell us something about your forthcoming projects

I have just finished a picture in China, is called  “Ghost Of The Imperial Palace”. I saw a picture in the set of a classical Chinese palace on the Chinese television national network and I thought it was one of the best sets I had ever seen. So I wrote out a plot by myself, which I often do, then I had the screenwriter to come in and write the story so everything started with the fact that a set was there so I could make a very low budget film that would look like a big budget film. The interesting thing was this how our cultures differ and why is so difficult for us sometimes to understand the Chinese: I’ve found the Chinese producer, I’ve made a deal with him to co-produce  and then we submitted the script to the censure. I didn’t know why the censure, he didn’t mention the censure.  And the censure turned it down on the basis that the ghosts are a primitive superstition and China is a modern country and it could not allow a picture of a ghost. To be honest my first thought was “we waste a lot of time here” but my second thought was “we don’t understand their culture”. Now, what my co-producer did, we waited a while, he took the same script, he changed the title from “Ghost Of The Imperial Palace” to “Mystery Of The Imperial Palace”  in the sense to pass the censure  so the picture would be known in China as “Mystery Of The Imperial Palace” (laughs) and in the rest of the world would be “Ghost”.

martedì 22 maggio 2012

L' intervista esclusiva a Roger Corman per Horror.it



pubblicata su Horror.it:



Available in english version here

In occasione della sua visita a Torino, per la retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema, noi di Horror.it abbiamo avuto l' onore e il piacere di intervistare il grande Roger Corman

Il credito va a Andrea K. Lanza, di Horror.it, per aver fatto in modo che l' intervista avesse luogo e per aver ideato le domande, redatte con la collaborazione della sottoscritta e dell' amico Corrado Artale.

Ringraziamo Il Museo Del Cinema per la gentile collaborazione, nella persona di Veronica Geraci, Ufficio Stampa.

L' intervista è stata eseguita da me medesima.



Buona lettura :)


INTERVISTA A ROGER CORMAN




Roger Corman, ossia il Re del low-budget. Una vera icona, per tutti gli amanti del cinema, l’ uomo che lanciò nomi del calibro di Jack Nicholson, e registi come Francis Ford Coppola, Jonathan Demme, Joe Dante, James Cameron, tutti provenienti dalla sua factory. I suoi adattamenti da Edgar Allan Poe restano indimenticabili, così come Vincent Price, che ne diventò mattatore indiscusso.  Ma Corman ha fatto molto di più: nella sua lunghissima carriera, non solo ha diretto un numero impressionante di pellicole ma è tuttora produttore assai prolifico.
I suoi titoli più interessanti sono anche tra i meno conosciuti: Il Serpente di Fuoco, I Selvaggi, Gas-s-s-s, molti film che esulano dal genere horror e spaziano nei territori più disparati.

Noi di Horror.it abbiamo avuto l’ onore e il piacere di intervistarlo durante la sua recente visita a Torino, in occasione della retrospettiva “Senza Un Attimo di Tregua” dedicatagli dal Museo Del Cinema (che ringraziamo per la preziosa collaborazione, nella persona di Veronica Geraci).

Le domande sono opera di Andrea Lanza, con la collaborazione di Chiara Pani e Corrado Artale. L’ intervista è stata eseguita da Chiara Pani.

Conosciamo tutti la parte del suo lavoro relativa al gotico e all’ horror, come il celeberrimo “ciclo Poe”, ma ricordiamo sempre con piacere la parte più realistica, oseremmo dire pulp in certi film. Pensiamo a “The Wild Angels” con un Peter Fonda pre Easy Raider o al bellico “The Secret Invasion”, senza dimenticare quel film visionario e particolare quale fu “The Trip”. Qual’ è la dimensione cinematografica nella quale si sente più a suo agio, più libero creativamente?

Amo l’ intero processo del girare un film e mi piace lavorare con quanti più stili possibile, perciò ho realizzato film realistici, su situazioni contemporanee come “The Intruder” ( “L’ Odio Esplode A Dallas” - 1962), che parla dell’ integrazione razziale nel Sud degli Stati Uniti; inoltre, negli anni ’60, facevo parte della controcultura e realizzai “The Wild Angels” (“I Selvaggi” – 1966) e “The Trip” (“Il Serpente Di Fuoco” – 1967) ma, al tempo stesso, mi piacevano gli horror e ho anche girato film di fantascienza. Dunque, mi divido molto tra tutti questi generi e sono tornato prevalentemente all’ horror e al sci-fi dopo aver sperimentato tipologie filmiche diverse.

Nel 1990 gira un film molto interessante, Frankenstein Unbound, che è arrivato dopo una lunga pausa dalla regia e che è stato parzialmente girato in Italia. Ci parlerebbe di questa particolare scelta delle location e del progetto in generale?

Il film è stato interamente girato in Italia, vicino al Lago di Como, mentre le riprese in interni sono state realizzate a Milano. In realtà, era una pellicola che non avevo intenzione di girare; la Universal aveva fatto una sorta di sondaggio e ne risultò quest’ idea che un film chiamato “Roger Corman’s Frankenstein” avrebbe riscontrato successo. Quindi, mi chiesero se volessi farlo e dissi: “No, ci sono già stati talmente tanti film su Frankenstein che sarebbe solo un altro film su Frankenstein”. Iniziarono a chiamarmi all’ incirca ogni sei mesi offrendomi sempre più denaro. Alla fine, l’ offerta fu così alta che dissi: “Posso tentare un approccio originale nel realizzare un film su Frankenstein, accetto”, e “Frankenstein Unbound” è un romanzo di un autore inglese (n.d.r  Brian Aldiss, il romanzo è del 1973) che ho pensato fosse originale dunque scelsi quello.

Nel 1970 ha prodotto “The Dunwich Horror”, un adattamento da Lovecraft così come il precedente “The Haunted Palace” (La Città Dei Mostri) che invece ha diretto. Ci parli del suo approccio a Lovecraft, solitamente difficile da trattare al cinema, e quali sono state le principali differenze rispetto all’ adattare Edgar Allan Poe.

Mi piace il mondo di Lovecraft e mi piace quello di Poe, ma personalmente mi sento più a mio agio con la visione di Poe poiché i personaggi sono un po’ più complessi rispetto a quelli di Lovecraft, dunque posso lavorare su entrambi i livelli mentali di coscienza ed inconscio. Considerando l’ attitudine di Poe rispetto al proprio lavoro, sceglierei sempre lui. Mi piaceva Lovecraft, poichè non era così diretto come Poe ma era assai buono come base per una sceneggiatura.

E’ curioso, e fa piacere sentirlo dire, poichè molti registi trovano difficoltoso lavorare su Lovecraft.

Lovecraft era più popolare e commerciale negli anni ’20 e a volte è un po’ difficoltoso lavorare con i suoi personaggi e le sue storie poiché non sono molto complesse, tutti i registi preferiscono avere a che fare con concetti più complicati.

La sua carriera di produttore è estremamente varia e ha toccato i generi più disparati, dal “women in prison” ai film con i mostroni giganti: ci dica qualcosa sulle differenze tra il Roger Corman produttore rispetto al regista, se ce ne sono.

Ci sono più analogie che differenze in realtà, poiche per me l’ aspetto più importante, l’ elemento basilare in un film è l’ idea originale. Quindi, sia che io lavori in veste di produttore piuttosto che in quella di regista, in entrambi i casi tutto ha inizio da una mia idea originale, che può essere un qualcosa che viene direttamente da me o magari un racconto breve che mi è piaciuto e che scelgo. Come passo successivo, lavoro con lo sceneggiatore sugli sviluppi, dopodichè coinvolgo il regista nella fase definitiva di stesura dello script, poiché mantengo un lavoro di stretta collaborazione tra regista e sceneggiatore nelle fasi finali di scrittura. La differenza fondamentale, quando produco, è che a questo punto mi allontano e preferisco non essere sul set durante le riprese, mi presento il primo giorno per salutare tutti e se tutto procede bene durante la prima giornata, non torno. Riesco così a percepire la direzione che il regista e il manager di produzione stanno prendendo.

Perchè questa scelta di presenziare solo durante la prima giornata di riprese?

Durante le riprese della prima pellicola che produssi e della quale non curai la regia, i componenti della crew venivano sempre da me per i loro dubbi e le loro domande e io rispondevo loro “non dovreste venire da me, dovreste andare dal regista”, ma erano così abituati a rivolgersi a me che sentii che dovevo lasciare il set, poiché se avessero continuato avrei dovuto dire loro “no, non in questa occasione, qui non sono io il regista”, poiché ovviamente chi dirigeva il film era la persona più appropriata a cui rivolgersi.

Una domanda che ci sta particolarmente a cuore: tra tutti i suoi lavori, ne ritroviamo uno che personalmente consideriamo una delle più potenti e cupe trasposizioni da Shakesperare, “Tower Of London”, girato negli anni 60, il che lo rende un progetto forte e coraggioso. Ci parli di questo film, della particolare scelta del bianco e nero, e se lo considera parte del suo ciclo gotico o piuttosto un oggetto a parte

Credo che si trovi ai confini del ciclo Poe, ha delle somiglianze con gli adattamenti da Poe ma non è esattamente compreso in essi. La ragione per cui venne girato in bianco e nero è dovuta al fatto che, nonostante io avessi ovviamente già girato a colori per l’American International (*AIP), “La Torre Di Londra” fu realizzato per la United Artists e loro vollero il bianco e nero poiché lo impiegavano nei loro film low-budget. Questo è uno dei motivi per cui preferisco lavorare su film a basso costo che finanzio in modo indipendente e sui quali ho pieno potere decisionale.

Ora, una domanda molto comune: il ciclo Poe e, in particolare, il suo rapporto con Richard Matheson

Gli adattamenti da Poe erano davvero basati sulle sue paure. Poe lavorava sia sulla mente inconscia che sul livello cosciente; penso che questi concetti siano venuti alla luce nel XIX secolo, una decina d’ anni dopo, collocando Poe alla pari di un concetto come la psichiatria, e ciò gli rende pienamente giustizia. Ho scelto Dick Matheson semplicemente per I suoi ottimi scritti, è l’ autore della maggior parte dei miei adattamenti di Poe e penso che abbia fatto un ottimo lavoro. Penso sia uno dei migliori, più particolari e profondi scrittori nel genere.

Infatti, Matheson ha adattato alcuni dei racconti di Poe anche in modo talvolta bizzarro, reinventandoli, creando dei “melting-pots”, come ad esempio ne “La Tomba Di Ligeia”, nel quale si mettono insieme più racconti di Poe.

Sì. Uno dei problemi nell’ adattare i racconti di Poe è che sono molto corti. Il racconto breve “Il Pozzo e Il Pendolo” occupa lo spazio di poche pagine; l’ intera narrazione si svolge nella stanza col pozzo e col pendolo e quel che abbiamo dovuto fare fu di creare ciò che andava collocato prima, in modo da poterlo integrare col finale nella stanza del racconto di Poe. 


Si può notare una forte ironia nei suoi adattamenti di Poe, se li paragoniamo agli scritti che avevano un tono comunque più cupo. Sia lei che Matheson avevate il dono di aggiungere un tocco di ironia, ci dica qualcosa in proposito

L’ ironia stava in questo: dopo che ebbi terminato di dirigere i primi film da Poe, sentii che dovevo cambiare un po’ poiché stavo iniziando a ripetermi, non volevo che tutte le pellicole si assomigliassero tra loro. Dunque, divennero un po’ ironiche, così arrivò “The Raven” (I Maghi Del Terrore – 1963), che era un film piuttosto divertente (“oh oh oh” – e ride), e “The Tomb Of Ligeia” (La Tomba Di Ligeia – 1964) divenne sia una storia d’ amore che un horror movie. Ho usato l’ ironia come mezzo per variare le trasposizioni da Poe.

Negli anni 60, dunque in contemporanea ai suoi film gotici, in Italia Mario Bava girava “Black Sunday” con una delle “sue” attrici, Barbara Steele. Cosa ne pensa dei registi italiani low budget di quell’ epoca, come Bava, Margheriti o anche Fulci, che dichiarava di usare la “Formula Corman” come suo metodo di lavoro?

Dei tre, quelli che conosco meglio sono i lavori di Mario Bava. Penso debba essere ricordato di più, faceva film davvero eccellenti. “Black Sunday” (La Maschera Del Demonio – 1960), in particolare, fu il suo primo film che guardai e, sinceramente, scelsi Barbara Steele per lavorare con me proprio perché mi piacque molto in “Black Sunday”.

I suoi prossimi progetti cosa ci riserveranno?

Ho appena terminato un film in Cina, si chiama “Ghost Of The Imperial Palace” (Il Fantasma Del Palazzo Imperiale). Vidi un film, sulla tv di stato Cinese, ambientato in un loro palazzo tradizionale e pensai che era uno dei set più belli che avessi mai visto. 
Dunque, scrissi una prima bozza di storia, cosa che faccio spesso, dopodichè chiamai lo sceneggiatore per stendere il soggetto vero e proprio; tutto iniziò dal fatto che c’ era già un set quindi potevo realizzare un film low budget che sembrasse un film ad alto costo. Il punto interessante è quanto le nostre culture siano differenti e quanto sia difficile per noi, a volte, comprendere la cultura di quel Paese: trovai il produttore cinese, firmai per la co-produzione, dopodichè lo script venne sottoposto alla commissione censura.  Non ne sapevo il motivo, lui non aveva mai parlato di una commissione censura, la quale bocciò il film poichè “i fantasmi sono una superstizione primitiva mentre la Cina è un Paese moderno e non può permettere che venga realizzato un film sugli spettri”. A essere sincero, il mio primo pensiero fu: “stiamo perdendo un sacco di tempo qui” ma subito dopo pensai: “non comprendiamo la loro cultura”. Come ci siamo mossi, io e il mio co-produttore: abbiamo aspettato un po’ di tempo, lui ha preso la medesima sceneggiatura e ha cambiato il titolo da “Ghost Of The Imperial Palace” a “Mystery Of The Imperial Palace” (Il Mistero Del Palazzo Imperiale) in modo da superare il visto censura. Quindi, il film sarà noto in Cina come “Mystery Of The Imperial Palace” (ride) e nel resto del mondo sarà “Ghost”.

Chiara Pani
(araknex@email.it)




lunedì 14 maggio 2012

La mia recensione di "Dark Shadows" (2012) di Tim Burton su Nocturno.it


pubblicata su Nocturno.it:

http://www.nocturno.it/recensioni/dark-shadows







Dark Shadows (2012)


“Si dice che il sangue sia più denso dell’acqua: è quello che ci lega, che ci definisce, che ci unisce”

Con questa frase, pronunciata dalla voce narrante di Barnabas Collins, si apre e si conclude Dark Shadows,  l’ ultima attesa opera di Tim Burton. Un progetto che stava molto a cuore al regista di Burbank, cresciuto con l’ omonima soap-opera gotica prodotta da Dan Curtis. La differenza principale rispetto al prodotto tv sta nel registro comedy, volutamente parodistico: in questo film Barnabas (l’ immancabile Johnny Depp) si risveglia nel 1972, con un salto temporale di 200 anni, dando il via a una serie di gag più o meno riuscite.

Qui si manifesta il punto debole della pellicola: Burton ha dimostrato di saper lavorare con l’ ironia, con un gioiellino come Beetlejuice, tagliente e senza concessioni; in Dark Shadows il registro è spesso incerto, alcune sequenze sono realmente divertenti, altre risultano scontate. La performance di Depp è quasi ingessata in un ruolo gigionesco non del tutto congeniale.

Dal punto di vista visivo, il film è burtonianamente magnifico: dalla fotografia alle scenografie mozzafiato, fino all’ atmosfera cupo-fiabesca che si mescola ad un’ estetica pop-sixties. Lo score di Danny Elfman accompagna a dovere l’ apparato, seppur in modo più convenzionale rispetto ad altri lavori.

La pellicola è evidente omaggio alla filmografia vampirica, a partire dal Nosferatu di Murnau, ma non solo: nel volto di Barnabas sono chiari gli echi dal Cesare del Gabinetto Del Dr Caligari, dunque si spazia dalle memorie espressioniste fino agli Hammer movies anni ’70.

Il cast è quello delle grandi occasioni: Michelle Pfeiffer, Elena Bonham-Carter, e i camei di Christopher Lee e Alice Cooper, non del tutto riusciti: Cooper interpreta se stesso senza fantasia, in una trascurabile parentesi rock’n’roll.

La vera forza del film è Eva Green, la strega Angelique Bouchard: innamorata perdutamente di Barnabas due secoli prima, al suo rifiuto si vendica come solo una strega può fare: con una maledizione. Angelique rappresenta l’ ossessione, la brama di possesso che si fonde e confonde con l’ Amore. La strega si frantuma, come una bambola di porcellana, e così il suo cuore di vetro, che porge a Barnabas in una delle sequenze più belle del film. In lei sta la chiave di lettura più affascinante di una pellicola non del tutto riuscita.

Un’ opera che ha il difetto di lasciare tutto troppo in superficie, restando sempre fedele ai propri topoi registici ma che manca, al tempo stesso, di quel “tocco” che sarebbe stato fondamentale per poterla considerare pienamente riuscita.


Chiara Pani
(araknex@email.it) 

Dark Shadows
Usa -2012
Regia: Tim Burton





domenica 13 maggio 2012

Intervista a Marco Malattia - Vans>La>Furka Videomalattie




Signore e Signori, oggi Araknex's Film Critic Vault vuole introdurvi in un mondo inedito, sinistramente affascinante, un giretto negli Inferi di un artista estremo, coraggioso, che nella sua Arte mescola musica, pornografia, esoterismo, il Lato Oscuro di tutto quell' arte contemporanea solo fintamente scioccante che continuano a propinarci.

Marco Malattiae il suo progetto Vans>La>Furka Videomalattie:


(Avviso: Il Blog di Marco ha contenuti sessualmente espliciti che possono risultare disturbanti in quanto estremi)




Molto più che semplici shock visivi, un vero urlo di guerra contro un' Arte sempre più uniformata, limata e disciplinata.

Ecco la nostra conversazione, che mi auguro vi sarà utile a conoscere meglio un artista che possiede un grande punto di forza: non teme. Nulla

Buona lettura.

( Pagina Facebook: http://www.facebook.com/pages/VansLaFurka-Videomalattie/133498220043170 )










- Cominciamo dal tuo manifesto:

"Vans>La>Furka Videomalattie studia/elabora/espone visualità   pornografica apto-convulsa.
Un lavoro che resiste ad ogni qualsivoglia forma di determinismo e che abbraccia un linguaggio freddo, teologico e caustico che attraverso corpi, oggetti, squarci nudi di realtà, nulla, errori e nuove prospettive testimonia l'interazione di niente.
Fotografia, video, elaborazioni analogiche o digitali, installazioni, qui si diffonde un non messaggio di totale affrancamento dei concetti di "arte", "tecnica" e "stile"

Vans>La>Furka Videomalattie è un contenitore per i lavori di Marco Malattia, le coordinate si vengono a trovare tra corpi, macchine, oggetti obsoleti, sesso, meccaniche, morte e automatismi, il tutto è interconnesso, mediatizzato e frammentato, distorto da innumerevoli chiavi di lettura, pornografia, nature morte e oggetti vivi, costruttivismo, surrealismo in contrapposizione ad un iperrealismo esasperato, illogicità, contraddizionismo estetico e concettuale, incomunicabilità e amore per l'illogico e l'improbabile."

- Per chi non conoscesse il tuo lavoro, spiega la tua presentazione, in apertura della nostra conversazione. In parole povere, manifesta il tuo manifesto, in pratica.

+) Il manifesto è nato per descrivere le intenzioni ed i propositi che mi prefissai al momento di creare V>L>F. Tutto è in realtà discretamente semplice da spiegare. Il mio lavoro con V>L>F è talmente trasversale e poco inquadrabile che qualsiasi etichetta veste stretta. Non si tratta di pornografia in senso letterale, sebbene siano sempre presente elementi di rappresentazione sessuale più o meno esplicita; videoarte è allo stesso modo riduttivo, ci sono elementi delle più disparate correnti estetiche/artistiche e, sebbene possa sembrare un lavoro istintivo e a tratti visionario, tutto è pesantemente pensato e ragionato. Allo stesso tempo, la presenza di tanti elementi concettuali-estetici riduce l'essenza di V>L>F al nulla, in quanto elude il concetto di descrizione e di sintesi. V>L>F è, al minimo comune denominatore, quello che mi passa per la testa.

- Gli elementi base della tua arte: cinema, musica, pornografia, occultismo. In che modo essi si miscelano per dare forma al Progetto Vans>La>Furka Videomalattie? Com’è nata questa particolare alchimia?

+) Tutto quello che incontra il mio apprezzamento è convogliato e metabolizzato in V>L>F, al punto che questo progetto ha assorbito tutti gli altri ai quali mi sia mai dedicato. L'unica altra mia iniziativa che tiene testa a V>L>F è Bolesnie Photomancy, che considero la pura antitesi di V>L>F. In Bolesnie non c'è presenza di corpi umani o di interazioni, non è un discorso sincretico. Bolesnie Photomancy è fotografia pura. Fare musica al giorno d'oggi è semplicemente obsoleto; la pornografia è morta da quando è stata legittimata da leggi di mercato. 'Occultismo' è un termine un pò troppo generico, diciamo che io mi interesso principalmente di gnosticismo in tutte le sue forme.
Tutti questi elementi sono dosati di volta in volta a seconda delle esigenze. C'è il gusto per la videoarte e l'amore per la fotografia, c'è l'attenzione alle colonne sonore, c’è la volontà di riportare alle origine il senso di sovversione che costituiva la base della prima pornografia, ed un certo tipo di simbologie e situazioni proprie delle tradizioni ermetiche/gnostiche occidentali che vengono inserite in  maniera da renderle esteticamente essenziali al contesto. Il risultato di questa miscela è V>L>F.

- Come nasce artisticamente  Marco Malattia? qual' è il percorso che hai seguito fino ad arrivare al progetto che hai ora?

+) Iniziai come musicista ormai 20 anni fà, passai da un esperienza all'altra attraversando vari generi, finchè nel 1998 creai R.U. audiofatture, una label dedicata all'industrial ed ai vari sottogeneri; produssi un centinaio di tapes/cd/vhs che all'epoca riscossero un discreto successo e produssi tanti primi lavori di bands che poi divennero degli esempi del genere, oltre che usare l'etichetta come megafono per i miei lavori. Iniziai a creare tutta una serie di videoclip a supporto dei gruppi che producevo. Dopo qualche anno mi stancai della situazione: l'ambiente musicale industrial è un circolo chiuso e vizioso, sempre i soliti personaggi che producono le stesse cose e che si dicono 'bravo' l’un con l'altro. Una situazione inutile a voler essere gentili. la fase successiva fu iniziare a lavorare a vari cortometraggi surreali/sperimentali, di cui recentemente ho realizzato delle reboot versions...e da lì arrivare ad una realtà come V>L>F fu semplice.

- Il tuo lavoro è articolato principalmente  in due modalità espressive: cominciamo da quella video, per l’ appunto Videomalattie. Come si sviluppa il concetto di “morbo”, presente fin dal nome, e in che modo affronti l’ estremo come forma d’ arte visiva?

+) Il concetto di 'morbo', 'malattia', malessere' è implicito nel corpo che abitiamo. Il corpo è malattia pura, essendone il veicolo.
Questo comporta che quando il corpo interagisce con altri corpi od oggetti il potenziale della malattia, che in stasi rimane un concetto in potenza, si manifesta in tutto il suo splendore.
Dato che con il video lavoro con il movimento, a differenza della fotografia, questo aspetto risalta ed è preponderante.
La malattia è una deviazione dalla situazione di 'normalità', man mano che la malattia prosegue ci si allontana dallo scenario ideale.
Nei miei video tutto è deviato e pervertito. Il sesso non è più un momento di piacere reciproco o di intrattenimento anche solo per chi guarda, ma diventa l'unica interfaccia che i corpi in questione possono usare per esprimere malcontento.
Nessuno dei personaggi coinvolti è mai riconoscibile (a parte me che sono l'unica presenza maschile), questo perchè le suddette deviazioni siano trascese da ogni concetto relativo a personalità, carattere, introspezione.
Tutto viene rapportato al corpo, alle sue funzioni biologiche, alla pura materia. Non esiste altro.
Il video è il mezzo ideale per esprimere tutto questo.

- Passiamo alla seconda modalità espressiva, quella cartacea, ossia la rivista GovNoed: assai apprezzabile, in questa epoca di sterili ebooks e di digitalizzato ad ogni costo. Parlaci di questa scelta, a partire dal nome della rivista, e di come essa si articola.

+) GovNoed Revue nasce dall'esigenza di dare un contesto alla miriade di fotografie che ho accumulato nel corso degli anni.
Sono un grande appassionato di fotografia analogica, e non mi soddisfaceva per nulla il pubblicare le foto sul blog o sui vari siti, avevo bisogno di un supporto tangibile per rendere giustizia al mio lavoro e, semplicemente, me lo sono creato.
GovNoed revue (GovNoed |mangiamerda in russo)è stato pensato già all'origine come una pubblicazione eclettica e imprevedibile. Di numero in numero cambio il formato, l'impaginazione, ed il layout generale non è mai lo stesso, l'unico punto fisso della rivista è il contenuto, ossia 10 fotografie stampate professionalmente su carta Agfa supreme.
La rivista in questo senso perde ogni significato legato al termine, è più un contenitore per le fotografie.
Il discorso del digitalizzato ad ogni costo, che è tanto in voga di questi tempi, mi ha sempre lasciato parecchio indifferente. Usando quasi esclusivamente strumentazione analogica per le mie fotografie mi è sempre sembrato a dir poco riduttivo il digitale come meta ultima. Per quanto sia utile ai fini della diffusione, il digitale è un sistema anti-fotografia per eccellenza.

- Sul tuo blog, che è compendium di tutta la tua opera (http://www.vlfvideo.blogspot.it/) c’è l’ interessante sezione “Proud Actions”,  una summa dei tuoi lavori, e dei dvd contenenti le tue opere di videoarte. Non può non saltare all’ occhio la peculiare scelta di intitolare il tuo più recente dvd come “Liber CXI”; parlaci del ruolo di questo tipo di studi nel tuo esprimerti come artista.

+) Il ruolo è marginale, sicuramente trascurabile. Certo che in vari lavori possono saltare all'occhio simbologie e rimandi a particolari concetti propri di un certo tipo di argomenti. Questo non significa che abbiano un ruolo preponderante nell'insieme di V>L>F. Piu che un influenza o una chiave di lettura direi che è più un'attitudine. Il titolo in questione è palesemente un rimando al ben più celebre 'Liber CXI' di Crowley, il libro della saggezza e della follia.
I contenuti del dvd c'entrano poco o nulla con i contenuti del libro dal quale ho ripreso il titolo. Mi piaceva l'accostamento in quanto il suddetto dvd è strutturato in 13 capitoli, come fosse appunto un libro che racconta la storia dei primi anni di V>L>F. Aggiungo che il numero 111 mi è molto caro per le implicazioni cabalistiche/gnostiche che comporta. Mi sembra adatto come titolo ad un dvd che ha come unico scopo chiudere una fase ed aprirne un'altra.

-La scelta di indossare una maschera da suino: che significato ha, se ne ha uno in particolare?

+) In realtà io indosso parecchie maschere, anche se in effetti quella da maiale è la mia preferita. Il maiale è un animale che, tradizionalmente, ha diversi significati, tutti comunque relativi alla sfera ctonia/inconscia/bestiale dell'esistenza. Già gli egizi sostennero che Seth, sotto le sembianze di un maiale nero, divorasse il sole (la ragione/l'intelletto/il pensiero razionale) ciclicamente. Da quel momento le simbologie relative a questo animale sono andate accumulandosi e perfezionandosi.

- Il tuo rapporto con le modelle e la loro importanza nella tua opera. In particolare, Helga Retard e le sue performance particolarmente estreme.

+) Le mie modelle sono fondamentali per me, senza di loro il mio lavoro non esisterebbe. Di conseguenza il mio rapporto con loro non può che essere eccellente.
Helga Retard è la mia fortuna, sotto vari aspetti: è riuscita a rendere in video e in foto quei contenuti eccessivi che cercavo da tempo con una grazia ed un'innocenza esemplari. I video nei quali appare sono immediatamente riconoscibili sia per forma che per contenuto.
Il suo gusto per l'estremo si sposa a meraviglia con la mia attitudine all'exploitation e sono sicuro che il meglio (o il peggio) deve ancora venire.

- Da un po’ di tempo a questa parte, pare che nel mondo dell’ arte contemporanee, vada molto di moda scioccare, stupire, ma sempre rimanendo nel politicamente corretto, dunque, dando sempre “pugni patinati”. Tu, per contro, fai dell’ arte sinceramente estremista, senza scendere a compromessi. In un paese bigotto e moralista come l’ Italia, le difficoltà che incontri devono essere molte. Parlaci un po’ di questo aspetto.

+) Le difficoltà in realtà sono minime, finchè rimango in attivo nell'economato per me va tutto bene. Se il mio lavoro non viene capito e snobbato, non è certo una mia preoccupazione, l'unico mio pensiero è di fare esattamente quello che voglio. Poi, per quanto riguarda  la mediocrità delle proposte, la colpa non penso sia imputabile agli artisti ma alla bassissima selezione che i moderni metodi di diffusione implicano e alla totale incapicità critica dei vari fruitori.
vedo prosperare musicisti/videomaker/fotografi la cui proposta è lontanissima da una qualsiasi forma di sufficienza, e il loro 'coefficiente' di shock (quando è presente) era già obsoleto anni fà.
ormai l'arte è una ripezione dei soliti stilemi da decenni, e soprattutto nei progetti indipendenti, dove teoricamente si potrebbe osare veramente qualcosa di eccessivo, ci si accontenta delle solite quattro cazzate.
La cosa triste è che all'incapacità di chi propone il proprio lavoro, corrisponde un’incompetenza mostruosa in chi deve giudicare
.Nella musica la situazione è penosa, vedo disadattati che si pensaNo chissà che geni solo perchè registrano i loro ronzii con dei synth. Nella fotografia le cose sono anche peggio: ci si ritrova fotografi perchè si è ricevuto come regalo una fotocamera digitale e si possiede un account su fb.
Per quanto riguarda il discorso ‘Italia’ poi, non lo considero nemmeno. C'è un provincialismo innato, gente veramente inclassificabile con una mentalità da farmi vergognare di essere loro connazionale.


- I canali distributivi, in questo sei completamente indipendente. Parlaci di come distribuisci i tuoi lavori, quindi attraverso quali modalità sono accessibili al pubblico.

+) L'indipendenza a livello distributivo, quanto si tratta un prodotto come il mio, è un'esigenza piuttosto che una scelta.
I prodotti di V>L>F non rientrano in nessuna casella e questo li rende trascurabili ai fini commerciali. Come già dissi in passato, per chi traffica porno i miei prodotti non sono l'ideale, in quanto presentano elementi sperimentali che rovinano gli intenti onanistici del cliente medio. D'altro canto, i contenuti sessuali dei miei lavori disturbano le menti borghesi dei seguaci della videoarte. Il modo più veloce per reperire i miei lavori è utilizzare direttamente i contatti segnalati sul mio blog.
Esistono delle piccole realtà che mi aiutano nella distribuzione; si tratta per lo più di distributori di arte bizzarra di varia tipologia, dalle etichette di musica industrial, alle fumetterie più coraggiose.
Con il prossimo dvd azzarderò un tentativo di distribuzione attraverso videoteche e sexy shop. Vedremo...


- Il 15 Febbraio è uscito il tuo nuovo dvd, il già citato "Liber CXI". Parlaci di questa nuova opera, delle differenze con le precedenti e dell' impatto che stai riscontrando.

+) In realtà questo dvd non si differenzia in nessun modo da tutto quanto e stato realizzato sin'ora nel campo video, in quanto è l'antologia definitiva del primo periodo di V>L>F.
In 2 ore sono riuscito a concentrare il materiale realizzato tra il 2007 ed oggi, più 3 reboot di alcuni cortometraggi che girai tra il 1999 e il 2003. Contiene praticamente tutto, dai director's cut dei dvd precedenti a tutti gli short e i cut che fino ad ora diffusi solo su internet, attraverso i vari canali della pornografia meno ortodossa o della videoarte più estrema.
La scelta di espellere questa summa dei primi anni di vita del progetto è dovuta ad una precisa volontà di reinventarsi, le prossime scene in programma si differenzieranno in maniera evidente da quanto realizzato dalle origini di V>L>F ad oggi, se non a livello concettuale almeno a livello estetico.
Avevo bisogno di una pietra miliare che dividesse il 'prima' dal 'dopo', "Liber CXI" è il modo migliore per rappresentare un nuovo inizio.
Fino ad ora i riscontri sono stati più che positivi, e la distribuzione, sebbene sia ancora del tutto gestita dal sottoscritto si è allargata in ambienti che prima erano solo toccati di striscio.
Diciamo che è un ottimo biglietto da visita per il prossimo DVD, il primo di una V>L>F completamente rinnovata in tutto, dalle performers, all'apparecchiatura tecnica, all'impatto estetico.
La distribuzione come accennato la gestisco io direttamente, il modo più veloce per procurarsi il dvd è usare i contatti che si trovano sul blog.

-Guardiamo avanti: come vede il futuro Marco Malattia?

+) Per attitudine non posso che dire: Male.
La vita è l'entropia della realtà in cui viviamo.
tutto andrà sempre peggio.


Chiara Pani
(araknex@email.it)